Il mare d’inverno, si sa, “è solo un film in bianco e nero visto alla tv”….ce lo insegna una splendida canzone di Enrico Ruggeri. Se al “film” inteso come cinema sostituiamo la pellicola o il sensore delle fotocamere digitali, rimane il bianco e nero, che mai come il grigiore di quest’inverno ci sta regalando. Ed allora, è una missione impossibile (giusto per rimanere in ambito cinematografico…) fare fotografie sott’acqua in questo periodo? Per la verità già è un’impresa riuscire ad andarci, a mare, in Mediterraneo, ma si sa che chi è malato di immagini, la sua macchina fotografica, compatta o reflex, analogica o digitale che sia, la porta sempre. Le condizioni ambientali difficili sono un’ottima palestra per chiunque. La macrofotografia è la disciplina principe di questo periodo e per più di un motivo: innanzitutto l’acqua poco limpida consiglierà di interporre tra l’obiettivo ed il soggetto meno “mare” possibile. Se, infatti, questa regola è sempre valida, con acqua torbida diventa un imperativo categorico, e la macro, o, meglio la “ravvicinata”, è un tipo di ripresa che per definizione permette al fotografo di stare vicino al soggetto.
Ovviamente c’è macro e macro, perché, ipotizzando di scendere con una reflex, una cosa sarà montare un obiettivo da 60 o da 90 mm.; un’altra armarsi di un 105 o addirittura un 200. Va da sé che i secondi sono sconsigliabili, perché hanno la distanza minima di messa a fuoco più lontana. Senza stare ad annoiare con calcoli e dati aritmetici, le ottiche “standard” sono più universali, consentono di “portare a casa” sempre qualcosa: la qualità ottica, a rapporti di riproduzione medi, è elevatissima. Ricordo velocemente che il rapporto di riproduzione è il rapporto fra la grandezza reale di un soggetto e quella che viene riportata sul supporto, di celluloide (pellicola) o magnetico (sensore CMOS digitale). In pratica, al rapporto di 1:2 (uno a due), un soggetto di 4 centimetri avrà la lunghezza sul supporto della metà, ossia 2 centimetri.
C’è un elemento non trascurabile, che rende stimolante la fotografia invernale notturna, ed è quello degli incontri inusuali: il ricercatissimo pesce San Pietro, ad esempio, d’inverno risale in ricerca di cibo e raggiunge profondità ben più accessibili anche per “normal-divers” e non solo per i tech-divers. Frequentemente ce lo si ritrova davanti all’illuminatore in particolare lungo i fondali fangosi ….sono occasioni rarissime nel periodo estivo; e che dire della bellissima fimbria, fra i nudibranchi più grandi del Mediterraneo, che come la “ballerina spagnola” tropicale nuota elegantemente a mezz’acqua? In pieno inverno è molto più facile (si fa per dire, io ancora aspetto…) incontrarla, particolarmente su fondali sabbiosi che si trovano vicino corsi d’acqua dolce. Non a caso ho citato due animali dalle dimensioni relativamente grandi, perché questo particolare potrebbe invogliare ad “azzardare” un’immersione con un obiettivo meno classico, come un medio grandangolo tipo un 28 mm. che sott’acqua si bolla, normalmente, come un’ottica che “non serve a niente”. In genere è proprio con gli strumenti poco usuali che si ottengono i risultati più…originali. Immaginate solo un attimo a quale prospettiva si può dare al nostro amico San Pietro riprendendolo frontalmente con un obiettivo standard, e quale, invece, avvicinandosi a pochi centimetri, con in primo piano il muso, gli occhi e magari le pinne dorsali drizzate ed utilizzando il secondo flash per… ma la luce. è un mistero che sto cercando di capire da anni, ed ho tanto da imparare. C’è bisogno di parlarne approfonditamente, senza correre, cioè, magari la prossima volta! Per ora godiamoci il nostro San Pietro,e pazienza se con un grandangolo porteremo a casa meno soggetti, è la qualità che conta. Evitiamo di sparare a soggetti piccoli spersi nel mirino perché tanto, dopo, a casa… . Con l’avvento del digitale l’importanza pratica del taglio e delle masse sembrerebbe drasticamente diminuita, perché sono finiti i tempi di quando si tiravano fuori dagli scatolini, in genere gialli, quei quadratini al cui interno c’era una pellicola trasparente che si osservava controluce per esultare o deprimersi a seconda di quello che si intuiva: ora le foto si scaricano sul PC, e bastano pochi clic di mouse e pochi secondi per riquadrare un’immagine. Ciò nonostante, non riesco proprio a concordare con quella corrente di pensiero che ritiene, capovolgendo i parametri, che con l’avvento del digitale al fatidico momento del clic tutto… inizi: penso che il Fotografo (il maiuscolo della “F” non è un refuso di dattilografia) debba sempre tendere ad avere il clic come momento conclusivo di un progetto, di un’emozione: se quell’emozione viene taroccata togliendo, aggiungendo, spostando e modificando la realtà sul monitor di un PC, non è più fotografia, ma un’altra cosa, magari nobilissima quanto si vuole ma non è fotografia che, ricordo, significa “scrivere con la luce”, non con il mouse! Come vedete la luce ritorna sempre, ci sarà pure un motivo…Alla prossima!
Enzo Troisi